"Easter Parade" di Richard Yates


"Né l'una né l'altra delle sorelle Grimes avrebbe avuto una vita felice, e a pensarci si aveva sempre l'impressione che i guai fossero cominciati con il divorzio dei loro genitori."




La lettura di "Easter Parade" è stata la mia rivelazione in questi primi mesi del 2018. Ero uscita col pensiero di comprare un Malamud, poi, combattuta se prendere o meno un suo titolo dal prezzo un po' alto, sono stata consigliata verso Yates da quel talent-scout di libri che è mia sorella, spingendomi a provare questa sorta di "Ragione e Sentimento" dai risvolti però tetri.
E non poteva avere più ragione. È stata una lettura nuova, spiazzante ma che mi ha fatta trovare a mio agio e in affinità con la scrittura al tempo stesso, forse perché  non si può resistere al richiamo del suo stile così moderno e sfrondato.
Della vita di Richard Yates (1926-1992), della sua sfortunata infanzia, della sua vita disordinata tra alcool e irascibilità, della sua aspirazione ad essere uno degli scrittori più letti nella seconda metà del XX secolo, se ne può trovare molto, ma mai quanto nelle sue opere perché Yates si legge nei suoi romanzi.
Eppure questo autore che nella sua fama postuma, verso la fine del Novecento e i primi albori degli anni Duemila, aveva rinnovato l'immaginario letterario americano con un'alternanza straziante di sogni e disillusioni, disfatte avverate prima ancora delle premesse, in una prosa veloce ed asciutta, in vita si era immeritato il titolo di "il più grande scrittore sconosciuto d'America"; criticato e non molto amato se non per "Revolutionary Road" e "Easter Parade", offuscato dall'arrivo di una nuova, fresca ondata di generazione di scrittori.
"Easter Parade" pubblicato nel 1976, quindici anni dopo "Revolutionary Road", fu salutato all'epoca tra i migliori lavori, dove l'autore attraverso una lunga saga famigliare di due sorelle, descriveva la classe media che aveva percorso l'America tra gli anni Trenta e gli anni Settanta del Novecento.


Le sorelle Sarah ed Emily Grimes di New York, figlie di genitori separati, un correttore di bozze e un'aspirante immobiliarista particolare quanto surreale chiamata da loro solamente col nome di Pookie, vivono l'infanzia tra traslochi, giochi, esperienze.
Sarah è bella, romantica e tradizionalista, mentre Emily riflessiva e indipendente; le due sorelle crescendo, mantengono un legame stretto e solidale e pur di diverse personalità, entrambe anelano all'amore, al successo, ad una vita diversa.
Nel 1941, una sontuosa sfilata pasquale segna inconsapevolmente per le Grimes gli ultimi giorni felici: Sarah sposa un vicino di casa somigliante in modo incredibile all'attore Laurence Oliver, Emily, studiosa, si dà alla carriera giornalistica. Ma il castello di sogni che hanno innalzato negli anni precedenti, si sgretola progressivamente. Sarah votata alla vita domestica, trova solamente violenza ed umiliazione, Emily (il personaggio dove si sposta gran parte del romanzo), dopo aver perso, senza ragione, la verginità, accumula continue relazioni sempre più degradanti.
Anche il loro rapporto si sfalda, determinando per quasi cinquant'anni incomunicabilità, incomprensioni, gelosie reciproche, fino ad arrivare, per ognuna di loro, ad una fatale fine.

Tra i fattori che mi hanno portato in sintonia con il nuovo autore, prima ancora delle vicende e delle tematiche affrontate, è stata innanzitutto la scrittura. Dialoghi secchi, prosa esile, una scorrevolezza il cui termine più appropriato sarebbe "ipnotica": non erano le pagine che velocemente voltavo ma la vita stessa che fuoriusciva dal libro. Essenziale, sincera, libera, forse la più bella in cui mi sono imbattuta dopo Fitzgerald ed Hemingway.
Yates sbatte in faccia al lettore la sua scrittura come il suo romanzo amaro, impietoso, avaro di sentimenti e speranze, biografico, incongruo a quel titolo rimandante ad un momento gioioso (se mai c'è stato) e comunque intangibile.
Da antiamericano Yates disprezzava la tendenza dei suoi connazionali per il lieto fine; nella sua visione l'inseguimento del sogno e della felicità è vano, lontano e indistinguibile e abbandonato quindi alla tragicità.
Sono presenti gli stessi pensieri cari a Fitzgerald, ma mentre quest'ultimo ci rende possibile almeno per un attimo vederlo, quasi sfiorarlo, adattandolo ad un testo poetico, per Richard Yates è solo un miraggio, in uno scritto senza romanticismi benché non priva di allegorie.

R. Yates

Si potrebbe, quindi, pensare ad un destino già prestabilito per le sorelle Grimes, ma per il mio piccolo parere, influisce nelle loro esistenze anche la volontà di ognuna che si spegne subito ad una piccolezza incontrata: come quando Sarah volendo scrivere un libro, lascia il suo intento nel momento in cui si accorge di dover effettuare qualche viaggio a proposito, o Emily che non sfrutta le sue doti per sfondare nel campo giornalistico perché si abbandona più ai sensi.
E in questi casi non c'è niente di meglio da fare che bere un drink, che non è poi tanto lontano da un nuovo guaio.
Così, in questo guazzabuglio di destino e libero arbitrio, lo scrittore americano vi mostra un'altra componente che pesa nei nostri eventi drammatici o meno: l'inspiegabilità della vita.

«Gioia, ne abbiamo parlato e riparlato centinaia di volte. È una di quelle vicende su cui non si potrà mai sapere con certezza la verità. La vita è piena di cose del genere.»

"Easter Parade" non è comunque unicamente un romanzo di fatti privati: velato nel suo interno c'è la storia sociale degli Stati Uniti d'America, lungo gran parte del Novecento, verso quella perdita dell'innocenza, quando il sogno di un posto al solo s'era ormai infranto ed era più difficile abdicare a qui valori di giovinezza, libertà, intraprendenza.
Forse sono troppo a digiuno di Richard Yates per comprendere alcuni meccanismi più profondi, ma questa prima lettura mi ha dato il motivo di continuare ancora.



M.P.




Libro:

"Easter Parade", R. Yates, Minimun Fax


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